REC:00862/h12:04 - 16.01.2513

L'inquadratura è fissa sull'intonaco verdognolo di una parete bozzata e irregolare, in primo piano vi è uno sgabello di legno impiallacciato che si lascia immortalare nel suo tacito assenso.
Il silenzio innaturale, reso greve dall'intermittenza di una fonte luminosa nell'angolo alto sinistro dello schermo, viene interrotto bruscamente dallo sbattere metallico di una porta che sigilla le sue labbra sotto un *bip* sottile e sospirato.
Echeggiano passi leggeri prima ancora d'intravedere una figura sfuggente occupare l'inquadratura come un'ombra nera, troppo vicina; l'obbiettivo sfarfalla cercando di stabilizzare la focale seguitando in distorsioni che striano di grigio e arcobaleno singhiozzate da due sonori colpi di piatto contro l'apparecchio.
L'inquadratura successiva sono due occhi neri che ti fissano come davanti ad uno specchio, è impossibile definire dove termini la pupilla e inizi l'iride, lo stacco non ha variazione di colore e la tonalità è talmente piatta da regalare un senso di insofferente profondità.
Le palpebre si abbassano un paio di volte seguendo lo spostamento di quegli occhi disegnati e alieni su qualcosa in basso a destra dell'inquadratura.
Ancora una volta è buio, un'ombra, rumore di una cassa armonica che viene colpita distrattamente e si mostra nel lungo manico stretto da dita tatuate e sottili all'altezza del capotasto sotto la paletta; è un attimo, poco dopo vi è una figura che si allontana di spalle trascinando a mezz'aria una chitarra acustica.
L'andatura ciondolante di gambe talmente sottili da non incontrarsi mai, pelle olivastra lasciata nuda da indumenti impercettibili sotto il bordo largo di una camicia quadrettata di beige.
Lo stridio dello sgabello che viene trascinato verso l'obiettivo è secondo solo allo sfarfallio dell'inquadratura affaticata dai troppi cambi di prospettiva e muore sotto l'ennesima pacca pesante sul rivestimento dell'apparecchio.
Quello che vedi ora sono mani tatuate con nomi sacri che bloccano un accordo sulla tastiera e pizzicano le corde con l'eleganza di un mento sfuggente spostato verso la spalla sinistra arretrata e spigolosa quale sfondo. Le note che riecheggiano sono lamentose e stanche, decrescono verso il rosone con accordi larghi e decisi. Il ripetersi della melodia nasce dallo stacco delle dita che strusciano sulle corde in un rapido trascinarsi verso il capotasto percorrendo una strada già nota e sofferente, segnata dall'incesssante pizzicare delle unghie al terminare del rosone.
Si intravede una differenza di colore appena sotto il ginocchio accavallato sulla gamba che sostiene il corpo della chitarra, è un dettaglio che si allunga verso l'angolo basso a destra dell'inquadratura reclamando un'attenzione morbosa su quella che è una cicatrice vecchia di anni e paure cantata da un ondeggiare morbido e passionale.
Il secondo giro d'accordi non si apre su nulla, muore con il palmo che si stende sulle corde bloccandone il suono per regalare un respiro pesante al registratore audio.
La spalla sinistra in quello scorcio decentrato dell'inquadratura si stringe verso il collo accompagnando uno sfregarsi rapido del mento contro il tessuto che la copre.
-Quiero tenerte muy cerca, mirarme en tus ojos y estar junto a ti..
Quasi un sussurro, a metà strada tra il canto e il parlato, sospirato da una voce bassa e calda espressa nell'accento graffiante di Maracay.
-Piensa que tal vez mañana, estare muy lejos, muy lejos de aqui... 
La mano sinistra sulla tastiera stringe il manico improvvisamente, la posa si fa statica e la voce echeggia dopo lunghissimi attimi di silenzio scanditi da respiri irregolari.
-Que tengo miedo perderte, perderte despues..
La voce si incrina terribilmente sulle ultime due parole e le spalle hanno due scatti in avanti come preludio di un singhiozzare lento e sofferto.
L'inquadratura resta fissa e implacabile su quel mezzo busto senza volto finchè non viene travolta da mani lunghe e affusolate che ne stordiscono la focale fermando bruscamente il video sotto rumori di plastica e metallo in sofferenza.