REC:00007/h03:09 - 05.10.2507

-Smettila!! No, ho detto di no!!
L'inquadratura si apre su una griglia metallica di pavimentazione non dissimile da quelle che compongono alcuni scomparti delle navi spaziali.
-Shhhhhh, non alzare la voce babosa!
Le voci che si alternano sono di timbriche differenti: la prima è marcatamente Leafer altalenando su note talmente ambigue da non consentire un'individuazione sessuale certa, la seconda è Sainter ed assolutamente maschile.
-Babosa?? Tú, que me llame babosa??
L'inquadratura si solleva su una figura sottile, fasciata dalla tuta da pilota indipendentista, il volto giovane e pulito di Petra che smanaccia verso l'obiettivo cercando di sottrarlo a chi lo detiene.
-Sta buona!!
Una risata baritonale, una mano grande e delicata che le afferra il polso liberando l'obiettivo sul suo volto.
Lo sfondo è una parete metallica segnata da una fitta maglia di riparazioni alla buona, cicatrizzate nel tempo. La qualità del video è scarsa, difetta in più punti con interruzioni di striature grigiastre e vuoti d'audio colmati da interferenze fastidiose.
Un'interruzione più ampia rende il video confuso e incerto, non si comprende fino in fondo cosa inquadri ma si distinguono due sagome che intervallano con pareti metalliche posizioni differenti.
La ripresa video non segue quella audio, c'è uno sfasamento che rende l'inquadratura surreale, instabile e opaca su due volti affiancati in un abbraccio e stretti da sorrisi e carezze lontane dall'ambiente che li circonda.
-Siamo fermi su una luna di Bullfinch da due giorni per un danno allo scafo di Adelita, il Capitano Ramirez ci ha detto di non scendere dalla nave, che ripartiremo subito. Il Verse ci raccoglie e manda a casa ogni volta che entriamo in gravità zero..[..]..stode de..mi..erso.. Pita, tu sei il mio universo.
La voce del Sainter arriva quando Petra sta già muovendo le labbra in una mimica facciale piuttosto chiara.
L'audio ha un'improvvisa accellerata che rende la voce stridula e inconprensibile riallineandosi al video.
-Non so se riusciremo a prendere quota, ma so che ora, l'unica cosa che voglio è passare il mio tempo con te Aiden Holbrook, baboso contadino di Saint, stupendo e profumato fiore del Rim, figlio dell'indipendenza, padre dei miei sogni, custode del mio universo. 
Sopravanzata rispetto a lui spinge lo sguardo verso l'angolo degli occhi, socchiude le palpebre e stira le labbra in un sorriso che viene chiuso da un bacio sospinto dal collo nervoso dell'uomo, seminascosto dalla cascata bionda dei capelli.
Il video resta su quel bacio ancora qualche istante prima di muovere verso il basso in un decrescere lento e inesorabile bloccandosi sull'inquadratura del soffitto metallico e spoglio, registrando sospiri e carezze in un sottofondo morbido a sfumare su un'interruzione grigia e striata che si scuote nel suo disturbo.



REC:00862/h12:04 - 16.01.2513

L'inquadratura è fissa sull'intonaco verdognolo di una parete bozzata e irregolare, in primo piano vi è uno sgabello di legno impiallacciato che si lascia immortalare nel suo tacito assenso.
Il silenzio innaturale, reso greve dall'intermittenza di una fonte luminosa nell'angolo alto sinistro dello schermo, viene interrotto bruscamente dallo sbattere metallico di una porta che sigilla le sue labbra sotto un *bip* sottile e sospirato.
Echeggiano passi leggeri prima ancora d'intravedere una figura sfuggente occupare l'inquadratura come un'ombra nera, troppo vicina; l'obbiettivo sfarfalla cercando di stabilizzare la focale seguitando in distorsioni che striano di grigio e arcobaleno singhiozzate da due sonori colpi di piatto contro l'apparecchio.
L'inquadratura successiva sono due occhi neri che ti fissano come davanti ad uno specchio, è impossibile definire dove termini la pupilla e inizi l'iride, lo stacco non ha variazione di colore e la tonalità è talmente piatta da regalare un senso di insofferente profondità.
Le palpebre si abbassano un paio di volte seguendo lo spostamento di quegli occhi disegnati e alieni su qualcosa in basso a destra dell'inquadratura.
Ancora una volta è buio, un'ombra, rumore di una cassa armonica che viene colpita distrattamente e si mostra nel lungo manico stretto da dita tatuate e sottili all'altezza del capotasto sotto la paletta; è un attimo, poco dopo vi è una figura che si allontana di spalle trascinando a mezz'aria una chitarra acustica.
L'andatura ciondolante di gambe talmente sottili da non incontrarsi mai, pelle olivastra lasciata nuda da indumenti impercettibili sotto il bordo largo di una camicia quadrettata di beige.
Lo stridio dello sgabello che viene trascinato verso l'obiettivo è secondo solo allo sfarfallio dell'inquadratura affaticata dai troppi cambi di prospettiva e muore sotto l'ennesima pacca pesante sul rivestimento dell'apparecchio.
Quello che vedi ora sono mani tatuate con nomi sacri che bloccano un accordo sulla tastiera e pizzicano le corde con l'eleganza di un mento sfuggente spostato verso la spalla sinistra arretrata e spigolosa quale sfondo. Le note che riecheggiano sono lamentose e stanche, decrescono verso il rosone con accordi larghi e decisi. Il ripetersi della melodia nasce dallo stacco delle dita che strusciano sulle corde in un rapido trascinarsi verso il capotasto percorrendo una strada già nota e sofferente, segnata dall'incesssante pizzicare delle unghie al terminare del rosone.
Si intravede una differenza di colore appena sotto il ginocchio accavallato sulla gamba che sostiene il corpo della chitarra, è un dettaglio che si allunga verso l'angolo basso a destra dell'inquadratura reclamando un'attenzione morbosa su quella che è una cicatrice vecchia di anni e paure cantata da un ondeggiare morbido e passionale.
Il secondo giro d'accordi non si apre su nulla, muore con il palmo che si stende sulle corde bloccandone il suono per regalare un respiro pesante al registratore audio.
La spalla sinistra in quello scorcio decentrato dell'inquadratura si stringe verso il collo accompagnando uno sfregarsi rapido del mento contro il tessuto che la copre.
-Quiero tenerte muy cerca, mirarme en tus ojos y estar junto a ti..
Quasi un sussurro, a metà strada tra il canto e il parlato, sospirato da una voce bassa e calda espressa nell'accento graffiante di Maracay.
-Piensa que tal vez mañana, estare muy lejos, muy lejos de aqui... 
La mano sinistra sulla tastiera stringe il manico improvvisamente, la posa si fa statica e la voce echeggia dopo lunghissimi attimi di silenzio scanditi da respiri irregolari.
-Que tengo miedo perderte, perderte despues..
La voce si incrina terribilmente sulle ultime due parole e le spalle hanno due scatti in avanti come preludio di un singhiozzare lento e sofferto.
L'inquadratura resta fissa e implacabile su quel mezzo busto senza volto finchè non viene travolta da mani lunghe e affusolate che ne stordiscono la focale fermando bruscamente il video sotto rumori di plastica e metallo in sofferenza.